Caschi Bianchi Tanzania
Situazione scuola in Tanzania
Metodi e programmi antiquati, estorsioni di denaro, violenze e sfruttamento da parte degli insegnanti a danno degli allievi. Un grave episodio occorso durante lo svolgimento delle “lezioni” porta l’attenzione sulla situazione del sistema scolastico, e sulle conseguenze di un’educazione incentrata sull’apprendimento di nozioni vuote e non sullo sviluppo di abilità e di senso critico.
Scritto da Giuseppe Falcomer, Casco Bianco a Iringa
Kimala è un villaggio a circa 100 km da Iringa che conta 5000 abitanti. Appartiene alla parrocchia di Kilolo e i preti vi si recano ogni quindici giorni a celebrare la messa. Non è fornito di corrente elettrica, gas o acqua corrente e la viabilità delle strade è condizionata dalla situazione meteorologica: nella stagione delle piogge non sempre il villaggio è raggiungibile in auto, gli ultimi chilometri devono essere percorsi a piedi.
Il paesaggio è mosso e suggestivo, un susseguirsi di vallate a circa 1900 metri di altezza, in cui si alternano ripidi pendii coltivati e zone boscose. In questo periodo dell’anno, a fine marzo, il mais è alto e i girasoli sono in fiore.
Il panorama è costellato dai tetti di rami delle abitazioni, che spuntano in mezzo ai bananeti. Le case di terra arancione sono circondate da campi, e sono ben visibili i sentieri che le collegano a quelle vicine. La strada principale è più ampia ed è l’unica percorribile in auto: ai lati si trova la maggior parte delle costruzioni: le case, la chiesa e la scuola.
Quest’ultima, che conta 700 studenti, sta ampliando la sua struttura con la costruzione di nuove aule.
Il Comitato “Giustizia e Pace” si è recato sul posto per documentare un incidente avvenuto il 12 marzo 2004. Agli alunni viene imposto di andare a scavare e trasportare alla scuola la sabbia necessaria ai lavori e 9 di loro sono morti nella cava sotto una frana. Il luogo in cui è avvenuta la tragedia dista dalla scuola 6 km, un susseguirsi di salite e discese tanto ripide che il Land Cruise 4000 cc, che è stato usato per recarsi sul posto, faticava nel tragitto: questa distanza doveva essere affrontata dai ragazzi con vari chili di sabbia sulla testa. Prima di allora alcuni genitori avevano chiesto che venisse costruita un’impalcatura per sostenere la parete di sabbia, ma nulla era stato fatto.
In seguito all’incidente gli insegnanti, scappati per evitare il linciaggio da parte dei genitori, sono stati catturati dalla polizia e sono in attesa del processo. I bambini sono stati seppelliti in un cimitero vicino alla chiesa, lungo un pendio che si apre su una splendida vallata.
Questo è solo un episodio, estremo, all’interno di una situazione scolastica che non giode affatto di buona salute. Sono infatti molteplici le testimonianze di altri avvenimenti più o meno gravi.
Le notizie qui riportate provengono soprattutto da fonti orali, missionari o popolazione locale, e, in misura minore, da libri o riviste specializzate: tutte fonti, quindi, sensibili a questo tipo di problematiche, e per la maggior parte, straniere. Anche alcuni giornali locali hanno riportato il fatto: questo è un segno della gravità della situazione e dell’incombente necessità di una svolta, come del probabile cambiamento di mentalità che interessa l’opinione pubblica. Il concetto di notiziabilità dei fatti di cronaca, le modalità di diffusione delle notizie e la forma in cui vengono riportate dai media in Tanzania, sono molto diversi da quelli a cui siamo abituati in occidente. Ad esempio, i giornali locali descrivono il percorso tra la scuola e la cava come una strada lunga solo 2 km, senza specificare quanto sia impervia.
Altri fatti sono tanto comuni che vengono ignorati: è arrivata notizia che una bambina di 9 anni ha subito violenze sessuali da parte di un insegnante, attualmente agli arresti. Questo è un caso particolare: infatti, sono molti i casi di abuso sessuale subiti da studentesse, di cui non si sa nulla ufficialmente, sia perché mediamente tollerati sia perché le ragazze non hanno il coraggio o la possibilità di denunciarli. La società tanzaniana, fortemente patriarcale, pervade e influenza anche il rapporto fra insegnante e alunne. Intimidazioni e pretese a sfondo sessuale sono normali: le ragazze hanno poche risorse per opporsi a quest’usanza, e a qualsiasi resistenza viene spesso risposto con la forza bruta. Raramente le autorità e i parenti si pongono in contrasto o riescono effettivamente a prendere una posizione netta, quindi il tutto è tollerato fino a diventare normale. Dalla loro posizione di potere, gli insegnanti ricorrono, qualora respinti, a pubbliche umiliazioni: voti bassi, espulsione dalla classe, punizioni corporali. L’insegnante colto in flagrante o denunciato, nel raro caso in cui la denuncia riesca a sortire un effetto, non occorre in nessuna punizione particolare se non un trasferimento di sede, un richiamo o un’ammonizione. Se la percentuale di questi episodi nelle scuole è ancora relativamente bassa, maggiore sarà nei villaggi ai danni delle donne.
Inoltre, gli alunni delle scuole subiscono spesso percosse, come punizioni per fatti più o meno gravi. La situazione, ufficialmente regolata da un atto risalente al 2000, è gestita dal corpo insegnanti in maniera completamente autonoma ed è assolutamente degenerata. Il precedente atto, risalente al 1979, piuttosto permissivo, stabiliva che le punizioni corporali potessero venire inflitte per correggere determinati atteggiamenti solamente in seguito a fatti gravi, dopo autorizzazione del preside, da richiedere tramite domanda scritta. Una procedura che viene regolarmente trasgredita: bastonate sulle gambe vengono elargite per ritardi, indumenti sporchi, confusione in classe, risposte sbagliate durante le interrogazioni, divise rotte, anche in caso che l’alunno non possa permettersi una divisa nuova. Questa situazione è generalmente accettata e ormai condivisa, anche nei casi che richiederebbero più delicatezza e moderazione. I ragazzi di strada accolti nelle strutture della Papa Giovanni XXIII, che hanno alle spalle storie complesse e tragiche, sono trattati come gli altri, con la conseguenza che a volte smettono di frequentare la scuola. La legge prevede che i soggetti con problemi particolari possano essere raggruppati in classi speciali e seguiti da insegnanti preparati affiancati da psicologi, ma la mancanza di fondi non permette di attuare il progetto. Il numero di studenti per classe è molto alto e non ci sono soldi per ampliare il corpo insegnanti. Le percosse, allora, sono un mezzo facilmente attuabile per ottenere ordine e disciplina: non necessitano conoscenze specifiche per essere applicate, sono veloci e non servono strumenti particolari. Il risultato è un clima di paura, assolutamente inutile e fine a se stessa, dato che i ragazzi vengono comunque picchiati anche ogni giorno per i medesimi errori. La maggior parte di insegnanti e genitori insiste nel sostenere questi metodi e non riesce ad individuare possibili strumenti alternativi di correzione: essendo essa stessa cresciuta con simili sistemi non li ritiene ingiusti né problematici.
Il rapido e solido radicarsi di questa pratica in Tanzania stupisce, soprattutto alla luce del fatto che non esistono prove certe di una sua diffusione prima degli anni Cinquanta, ma che pare sia stata introdotta, come metodo, dai coloni. Il popolo Wahehe, stanziato nella provincia di Iringa, si comportava in modo differente. Infatti, quando un bambino sbagliava, veniva ripreso e interrogato: se ammetteva la propria colpa veniva perdonato, altrimenti riceveva delle vergate sui polpacci. In caso di furto, veniva costretto a restituire in prima persona la refurtiva. Una volta cresciuto e diventato un ragazzo con delle responsabilità all’interno della società, ad ogni mancanza veniva severamente ripreso e gli venivano ripetuti gli insegnamenti affinché li potesse mettere in pratica. A parte questi esempi, dalla funzione chiaramente correttiva, la relazione interpersonale con i più piccoli non è propria della cultura tanzaniana, ma non lo sono nemmeno le bastonate, che non sono affatto produttive né per l’apprendimento né per la correzione degli atteggiamenti sbagliati.
La netta presa di posizione del Presidente Benjamin Mkapa, che ha dichiarato chiaramente di detestare le punizioni corporali, e la mobilitazione di alcuni singoli ed associazioni, hanno però aumentato la visibilità della questione agli occhi dell’opinione pubblica.
Spesso si vedono ragazzi, in cammino verso la scuola, portare sulle spalle le zappe, poiché tra i loro compiti c’è quello di imparare a coltivare la terra, e a riordinare e curare i giardini. Quest’attività potrebbe essere intrapresa con finalità educative e propedeutiche, ma viene spesso compiuta esclusivamente a beneficio del tenore di vita dei maestri. Altre volte gli studenti vengono affittati a imprese edili come dipendenti a ore, e il guadagno contribuisce a rimpinguare gli stipendi del corpo insegnanti. Una pratica molto comune consiste nel richiedere soldi agli studenti per le spese sostenute dalla struttura: le penne rosse che servono a correggere i compiti, le fotocopie che servono allo svolgimento degli esami, la manutenzione di banchi e sedie, o dell’infrastruttura in generale.
L’11 marzo 2004 il presidente della regione Dar ha dichiarato senza mezzi termini al giornale locale Majira : “I maestri che chiedono aiuti in denaro agli studenti sono dei ladri”. Un personaggio politicamente molto visibile ha deciso di esporsi e prendere posizione. La legge, non rispettata, prevederebbe che gli orfani non paghino tasse né versino denaro: la scuola per loro dovrebbe essere totalmente gratuita. Le ragazze accolte nella casa della comunità Papa Giovanni XXIII, ad Iringa, spesso vengono spedite a casa dopo essere state riprese, anche con la verga, per piccole mancanze riguardanti le varie collette obbligatorie di danaro.
La reazione del corpo insegnanti è sconcertante. Il preside si è nascosto per due volte quando la responsabile della casa di accoglienza, Laila, si è recata a scuola per parlargli. Una missionaria che ha distribuito copie dell’articolo citato ai ragazzi bisognosi, invitandoli a consegnarle agli insegnanti al posto del denaro richiesto, è chiamata ormai “l’attaccabrighe”, screditata di fronte ai ragazzi e accusata di non voler collaborare con loro per il bene degli alunni.
La scuola in Tanzania risulta essere in condizioni critiche per molteplici motivi. Il colonialismo ha portato, tra i pochi vantaggi, la costruzione di scuole e strutture per l’educazione: solamente una minoranza della popolazione locale però, ne ha beneficiato realmente. Queste scuole, prima dell’indipendenza, erano gestite da missionari, vantavano un buon livello, ma risultavano insufficienti a soddisfare le esigenze del paese. In ogni caso, l’istruzione non era un aspetto fondamentale nella politica di allora e venne ignorata, tanto che all’inizio degli anni Sessanta c’erano solamente 120 laureati in tutto il paese. Il sistema era stato modellato sull’esempio inglese, prevedeva sette anni obbligatori, quatro per le scuole secondarie e due ulteriori per accedere all’università. Dopo la Dichiarazione di Arusha, il sistema venne nazionalizzato ed era uno dei punti fondamentali del programma del Presidente Nyerere, che aveva svolto la professione di insegnante ed è tutt’ora chiamato mwalimu, “maestro” nella lingua locale, il kiswahili. La diffusione dell’istruzione era una delle basi per la realizzazione della sua idea di socialismo e autogestione. Uno dei problemi incontrati nell’aprire tante nuove scuole era la carenza di insegnanti qualificati: quindi, anche se negli anni Ottanta il tasso di alfabetizzazione era uno dei più elevati nel continente, la qualità non era altrettanto alta. Alcuni insegnanti, infatti, avevano da poco terminato il percorso scolastico senza alcuna preparazione specifica o esperienza. Le attuali condizioni lavorative dei docenti non sono comunque agevoli: i salari risultano essere bassi e i pagamenti arrivano spesso con ampi ritardi. Questa situazione li spinge ad assentarsi durante le ore di lezione per effettuare lezioni private a pagamento, o a dare ripetizioni private alle loro classi al termine del normale orario di lezione. L’incuranza e la superficialità degli insegnanti sono condizionate sia dalla loro situazione economica, sia dall’inefficacia dei programmi didattici, che non sono stati aggiornati nel corso degli anni, e del metodo di insegnamento, basato sulla copiatura e ripetizione da parte degli allievi di concetti e formule scritti alla lavagna, che non vengono proposti in chiave analitica né spiegati nei loro passaggi logici. I ragazzi non vengono educati a una rielaborazione critica, e fra la gente in Tanzania è diffuso il senso di impotenza di fronte alle situazioni, accompagnato da mancanza di creatività e incapacità di iniziativa.
Finora gli insegnanti non hanno cercato di creare un sindacato efficace e proporre manifestazioni o azioni di qualche tipo per far sentire la loro voce. L’unico atto dimostrativo sembra essere il mancato insegnamento durante l’orario effettivo di lezione, che ha ottenuto come risultato di danneggiare gli allievi. I genitori non si coalizzano per poter modificare una situazione che grava ingiustamente sulle loro finanze: la paura di un’eventuale bocciatura del figlio impedisce loro di ribellarsi e li induce a continuare a pagare. Anche un padre che aveva perso due figli nella frana, intervistato dal Comitato “Giustizia e Pace”, appariva rassegnato all’immutabilità della situazione, e all’inutilità di qualsiasi azione di rivalsa o di ricerca di giustizia. Fare causa all’insegnante, all’istituzione scolastica, allo stato, sono azioni infruttuose, che un povero non può comunque permettersi. Subire l’ingiustizia e continuare a vivere senza due figli è l’unica cosa fattibile. L’oppressione mentale ed economica alla quale è sottoposta, ha reso docilmente impotente questa popolazione. L’assenza di mano d’opera alternativa e di risorse, unita alla mancanza di senso critico, fa sì che dei minori siano costretti a compiere un lavoro massacrante senza la supervisione di un adulto, senza il rispetto delle elementari norme di sicurezza. Genitori ed insegnanti hanno accettato passivamente e con rassegnazione usanze nuove e vecchie, senza analisi o coscienza critica, e così faranno i loro figli.
Le scuole private che si stanno diffondendo in tutto il paese, operano ad un buon livello: sono caratterizzate da strutture sicure e solide, e da insegnanti preparati e sistemi rinnovati. Le famiglie che possono permettersi una simile spesa, però, sono ovviamente una minoranza: la stessa parte ricca della popolazione che avrebbe la possibilità di reagire alle ingiustizie e ai soprusi delle scuole statali, ma sceglie una strada alternativa.
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