Caschi Bianchi Cile

Sono una sopravvissuta di Villa Grimaldi

Micelle Bachelet, da detenuta politica a candidata presidente: un racconto da brivido, a tratti sconnesso, del passato, e un atterraggio politico che converte Michelle -secondo le inchieste- nella rivale più forte di Joaquin Lavin.(1)
di Raquel Correa, dal quotidiano locale El Mercurio, del 14-11-2004.

Traduzione a cura di Chiara Perego (Casco Bianco a Santiago del Cile)

Era a casa sua quando diedero la notizia che, finalmente, il PPD (Partito Popular Democratico) si univa al PS (Partito Socialista) per trasformarla nella sua candidata presidente. Guardò sua figlia minore con la faccia colpevole e la bambina le rispose con un rassegnato «per fortuna che ora sono solo quattro anni».
A questa notizia felice, nella stessa settimana se ne aggiunse un’altra che riempì di ricordi dolorosi la mente di questa donna, che ostenta razionalità ma che alla fine riconosce di avere un “gran cuore”. Con la consegna del Rapporto sulla Prigione Politica e la Tortura, di colpo le riaffiorarono tutti i brutti ricordi. La morte di suo padre -il generale FACh (Forza Aerea Cilena) Alberto Bachelet- per arresto cardiaco a seguito delle torture cui fu sottoposto in carcere. E i tormenti che subì sulla sua pelle, quando aveva poco più di 20 anni e frequentava il quinto anno di medicina. Non solo lei, anche sua madre.
Contreras(2) ha detto che lei non fu detenuta a Villa Grimaldi(3).
“L’ho sentito dire, mi è sembrato incredibile. Sa benissimo che io e mia madre fummo detenute, prima a Villa Grimaldi e poi a Cuatro Alamos. Fummo prese entrambe il 10 gennaio 1975. Ci interrogarono, ci confrontarono…
Con che diritto? Quali ordini?
Nessuno. Eravamo nell’appartamento e ci avvisarono dalla portineria che alcuni signori del servizio d’intelligenza volevano salire. Afferrai il telefono e chiesi a mia cognata di venire a prendere i bambini -i figli di mio fratello Alberto, che sono australiani, uno di 5 e l’altro di 4 anni. I due giovani arrivarono in borghese ma, evidentemente, erano militari. Avevamo appena finito di pranzare. In meno di mezz’ora mia cognata si portò via i bambini. Ci fecero alcune domande e ci dissero che dovevano portarci da un’altra parte per interrogarci, ma che subito ci avrebbero riportate indietro.”
Le costa ricordare. Le si abbassa la voce, china lo sguardo dietro agli occhiali da vista e racconta lentamente, con lunghi silenzi:
“Ci fecero salire su un’automobile. Ci misero dello scotch sugli occhi e occhiali scuri affinché non si vedessero le bende. Arrivammo in un luogo che non sapevamo cosa fosse. Immediatamente mi separarono da mia madre. Io non capivo bene di che cosa si trattasse.
All’epoca partecipavo ad attività politiche clandestine, ma niente di serio. Ci riunivamo, analizzavamo cosa stava succedendo. In quello stesso momento, da qualche parte a Santiago, stava avendo luogo una riunione degli alti ranghi del PS. Io uscivo con un ragazzo del partito e la mia preoccupazione era che non arrivasse a casa mia in quel momento. Mi chiamò per telefono proprio mentre uscivamo -continua, saltando l’ordine cronologico-. Ci eravamo messi d’accordo che se ci fosse successo qualcosa bisognava dire una certa frase. Qualcosa come “la mia amica Dina mi ha invitato a prendere il tè e non so a che ora tornerò”. Immediatamente capì che ci avevano prese. Ciò spiega quello che successe poi, a differenza di molta gente detenuta che scomparve…
Mia cognata avvisò mio fratello che era in Australia. E chiamò mio zio, il generale Osvaldo Croquevielle, sposato con una sorella di mio padre. E lui chiamò Leigh(4) esigendo che ci liberassero, che ci trattassero bene. Se non fosse stato per tutto ciò, non so se saremmo qui a quest’ora.
Ci portarono a Villa Grimaldi. Una strada lunga. All’improvviso si fermarono in un posto, proseguirono, svoltarono e salirono, salirono, salirono… arrivando là iniziarono a interrogarci: quali contatti, chi conoscevo, questo tipo di cose. Una bambina detenuta, che era stata interrogata e torturata, aveva detto che sapeva che io ero un’attivista e che avevo contatti con il PS, che era vero. Mi portarono -sempre con gli occhi bendati- in una stanza dove c’erano dei letti a castello. Eravamo otto detenute. Non le conoscevo. Patricia e Lucrecia erano incinte. A capodanno le guardie si ubriacarono e vennero a prenderle. Violentarono una e l’altra la lasciarono perché si mise a vomitare. C’era un’altra ragazza, Monica Villanueva, che aveva più o meno 16 anni, e una dentista di cui non ricordo il nome. E la prima sposa del cineasta Alvaro Covacevich. Fu lei a dirci «siamo a Villa Grimaldi. Lo so perché con Alvaro avevamo un’industria di piastrelle e una volta mi alzai un poco la benda e vidi le piastrelle che io avevo venduto agli antichi proprietari di Villa Grimaldi». La arrestarono con suo figlio di 8 anni…
La domenica si sentiva una campana, significava che c’era una chiesa vicina. Passavano anche degli aerei: l’aeroporto di Tobalaba è infatti molto vicino. Con gli occhi bendati notte e giorno, affinché non li riconoscessimo.
Più di una qualche volta mi alzai la benda e ricevetti una sberla.
Ci portavano al bagno un paio di volte al giorno, sempre bendate. Un bagno con un water, un piccolo lavatoio e una vasca che non funzionava. Nella camera di fianco c’erano prigionieri uomini, si sentivano le catene quando camminavano… di fronte alla nostra stanza c’era la sala dove si grigliava. Durante i giorni che restai lì, diverse delle ragazze furono torturate sulla griglia elettrica.
Una volta uno mi disse: «Sono della Forza Aerea. Suo padre non meritava di finire così. Ha bisogno di qualcosa?». Gli dissi: «Sapere se mia madre è viva, come sta. E se ha sigarette, gliene offra: deve essere disperata». Poi mi disse: «Sua mamma sta bene. L’ho vista e le ho portato un paio di sigarette».”
Quanto tempo ha passato a Villa Grimaldi?
“Non ricordo bene. Arrivai all’inizio di gennaio e mi hanno detto che me ne andai a fine mese. Dalla Villa a Cuatro Alamos. Vivevamo ammassate, ma mia mamma era nella torre, in condizioni peggiori delle nostre. A Cuatro Alamos ci trovammo in stanze confinanti. Riuscivamo a parlare di notte attraverso la finestra. Ci portarono a Cuatro Alamos perché così era il sistema, il sistema con quelli che non sparivano per sempre. Entravano di notte in ogni momento, prendevano la gente per torturarla.”
Lei fu torturata?
“Sì, mi torturarono… mi costa ricordare i dettagli. Come se i brutti ricordi si fossero bloccati. Mi picchiarono. Ciò che passai io non fu niente in confronto a quello che subirono altri. Non mi grigliarono; non ho mai detto questo. Con quello che ho dovuto passare, è sufficiente per non dover inventare di più. Aspettavo le mie compagne di cella quando tornavano dalla tortura. Qualcosa di tremendo. I segni fisici da un lato e quelli spirituali dall’altro: la depressione; il debilitamento. Anche le più forti, uscivano con la volontà infranta.
Ascoltavo i carcerieri parlare tra di loro, erano giovani apparentemente normali. Quando mi interrogavano mi dicevano rozzezze, mi sgridavano, mi strattonavano. E all’improvviso lo stesso che mi interrogava mi chiedeva informazioni riguardo a come ero entrata nella facoltà di medicina, perché sua figlia voleva essere medico. Qualcosa di molto schizofrenico.”
È vero che fu anche vittima di abusi?
“No. Se fosse vero, lo riconoscerei. Ciò che mi intimoriva era essere tanto indifesa, tanto vulnerabile (gli occhi le si riempiono di lacrime). Uno pensa di averlo superato perché è stato in grado di trasformare il dolore -la perdita del papà, degli amici, di gente molto amata, l’esilio- in una forza positiva, per lavorare affinché ciò non succeda mai più. Ma ricordando, il dolore torna a farsi sentire. Amici dei quali non abbiamo mai più saputo nulla. Un giorno mi lasciarono sulla porta senza un peso per tornare a casa, coi vestiti tanto sporchi per averli tanto usati… mi minacciavano dicendo che avrebbero ucciso mia mamma, e a lei dicevano che avrebbero ucciso me. La verità è che sono una sopravvissuta di Villa Grimaldi. L’ho vista brutta, ma per molti è stato infinitamente peggio.”
Cosa si può fare per rimediare tutto questo?
“Non possiamo cambiare ciò che abbiamo vissuto, ma i risarcimenti che si concedono possono essere qualcosa. Ci sono persone che hanno perso la salute; altri, la vita. Qualcuno ha perso il lavoro. La gente chiede risarcimenti morali. E, in alcuni casi anche pecuniari.”
È’ stata una “politica istituzionale”, come ha riconosciuto Cheyre(5)?
“A quel tempo -nel contesto della guerra fredda e della dottrina di sicurezza nazionale- ci furono torture e sparizioni in diversi Paesi del continente. Credo che fu la formazione del tempo a generare tali orrori, che avvennero a tutti i livelli istituzionali. Fortunatamente le FF.AA. (Forze Armate) cilene hanno sradicato tali sistemi. Oggi nelle scuole si insegna il rispetto dei diritti umani e la dottrina di sicurezza nazionale è parte del passato.”
Secondo lei, chi è il principale responsabile?
“…Tutto il Paese lo sa.”
Che cosa augura a Pinochet?
“…Mi sarebbe piaciuto che, a suo tempo, avesse avuto la generosità di assumersi le sue responsabilità e di lasciare libere le istituzioni. Ma ormai non è più un attore politico, assolutamente.”

Note:1. Ex sindaco del comune di Santiago, candidato presidente della destra.
2. Capo supremo della DINA, la polizia segreta del regime dittatoriale.
3. Villa Grimaldi e Cuatro Alamos furono centri di detenzione e tortura durante la dittatura (su Villa Grimaldi, vedi articoli correlati in Antenne di Pace).
4. Comandante della Forza Aerea. Fu lui che l’11 settembre 1973 ordinò di bombardare il palazzo de La Moneda, sede del governo, in cui si trovava il presidente Allende.
5. Comandante capo dell’Esercito.

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