La maggior oppressione si esercita su chi è muto. Se il popolo non arriva a possedere la parola, nonostante tutto, continuerà ad essere manipolato

Antenne di Pace raccoglie testimonianze di ingiustizie e voci di persone che vivono ai margini della società, di oppressi, di invisibili ai media internazionali, per ridare voce a chi non viene ascoltato e a chi è convinto di non aver più il diritto di esprimere la propria opinione. Lo fa grazie ai volontari in Servizio Civile all’estero Caschi Bianchi ed agli operatori Corpi Civili di Pace attraverso la comunicazione nonviolenta e l’ascolto attivo come strumenti di cambiamento sociale.

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“Il racconto è fondamentale, serve agli altri per comprendere e soprattutto serve ai senza voce per ritrovarla. Io sono ritornato in Congo nel 2010 e ho ritrovato la gente che ci ha aiutato a fare quel Rapporto, il loro abbraccio era l’abbraccio di chi aveva letto il nostro Rapporto ed aveva capito la relazione tra il nostro racconto e la fine della guerra”

“È solo la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione altrui”
“Ci sono per il povero a ‘sto mondo due grandi modi di crepare, sia con l’indifferenza generale dei suoi simili in tempo di pace, sia con la passione omicida dei medesimi quando vien la guerra”

“La maggior oppressione si esercita su chi è muto. Se il popolo non arriva a possedere la parola, nonostante tutto, continuerà a essere manipolato”

“E’ sbagliato scrivere di qualcuno senza averne condiviso almeno un po’ la vita”
“E qual è mai il giornale che scrive per il fine che in teoria gli sarebbe primario cioè informare o non invece per quello di influenzare in una direzione?”
“Gli uomini si dividono in due classi: oppressori e oppressi (…) Per noi la linea divisoria passa attraverso la parola: quelli che la possiedono e quelli che non la possiedono”

“Il vero giornalismo è quello intenzionale, che si dà uno scopo e mira a qualche forma di cambiamento sociale”

“Non ci è concesso un agire ingenuo e disinformato. Possiamo benissimo scegliere di non misurare le conseguenze delle nostre azioni, ma in tal caso sappiamo anche di aver scelto la via del disimpegno. Siamo responsabili della nostra irresponsabilità”

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