Impareremo mai? Memoria e continuità di vita

Una riflessione sul presente a partire dal passato: la visita ai campi di sterminio nazisti è occasione per guardare con consapevolezza e lucidità al mondo attuale. Un’occasione simile a quella di tanti giovani in servizio civile all’estero.

A me sembra molto importante, anche per Antenne di Pace, questo articolo di apertura dell’ultimo numero della rivista missionaria “Una sola famiglia”, dei dehoniani dell’Italia settentrionale (1). Giustamente l’articolo denuncia l’incredulità di tanti, ieri e oggi, ai crimini di Mautahausen, come pure ai crimini di oggi perpetrati in Africa e altrove dai cosiddetti “paesi industrializzati sviluppati”. Il servizio civile all’estero è un’ottima finestra aperta per tanti giovani sull’Africa e su altre parti simili del mondo d’oggi.

Padre Angelo Cavagna

Mauthausen – Africa: impareremo mai?

Ho proposto un provocatorio parallelismo tra Mauthausen e l’Africa mentre ritornavo da quel campo di concentramento che ho avuto recentemente l’opportunità di visitare partecipando ad un pellegrinaggio organizzato dall’ANED e dal comune di Sesto San Giovanni. Eravamo oltre 200 persone tra uci alcuni ex deportati, molti figli-familiari-parenti-amici di deportati vivi o defunti, vari studenti con rispettivi professori e autorità civili come i sindaci dei comuni di Sesto San Giovanni, Monza, Cinisello e Muggiò. Due giorni di viaggio in pulman e due intensi giorni di visita ai capoluoghi della più sadica, violenta, assurda e spietata disumanità. Insieme abbiamo partecipato a due cerimonie internazionali per commemorare la liberazione di quel campo di concentramento avvenuta, dicono le cronache, alle cinque meno cinque del pomeriggio del cinque maggio 1945. Come prete ero una figura prevista e richiesta dall’organizzazione col compito di celebrare due sante messe. La prima sul tavolo di pietra del campo di Gusen, dove i deportati, appena morti o uccisi, venivano dissanguati per bruciare meglio (e anche per risparmiare combustibile) nell’adiacente forno crematorio. Quel tavolo di pietra è diventato per noi l’altare del memoriale della morte di Gesù morto (crocifisso e dissanguato con la lancia) e risorto per sempre. La seconda messa, nella solennità della trinità, è stata celebrata nella cappella del campo di Mauthausen a conclusione del pellegrinaggio che aveva come obiettivo principale quello di commemorare e onorare sia i deportati defunti, sia i sopravvissuti che hanno pagato per tutti il prezzo della libertà.

Dei campi di deportazione-concentramento-sterminio, tutti sanno perché hanno ascoltato testimoni, letto libri e resoconti, visto filmati e fotografie. Nonostante questo, c’è ancora chi continua a dubitare e perfino a negare l’evidenza di quella tragica storia e drammatica verità. Forse non basta sapere e conoscere tramite altri, bisogna vedere e toccare personalmente le piaghe, come fece l’apostolo Tommaso con Gesù. Visitare Mauthausen, vedere e toccar personalmente quelle ferite sempre aperte e sanguinanti, fa esclamare come Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv. 20, 28). Un’espressione che esprime e riassume in sé la sorpresa-orrore-vergogna-scandalo, ma paradossalmente anche la fede. Ma Mauthausen è anche questo: riscoprire la divinità proprio là dove si è persa l’umanità. Raffaella, figlia di un deportato morto di malattia e sfinimento e sepolto proprio a Mauthausen pochi giorni dopo la liberazione, confidava a tutti che questo suo annuale pellegrinaggio è un cammino di fede. Fede in Dio che “ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di bene gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi” (Lc. 1, 51-53). Fede nell’uomo che può toccare il fondo dell’abisso con la sua perversione, ma anche raggiungere altissime vette di eroismo come coloro che, per la conquista di beni-ideali-valori comuni non indietreggiarono di fronte alla ferocia nazista e non esitarono ad affermare la propria dignità compiendo gesti di umanità là dove ogni gesto di umanità, si è scoperto, veniva punito con la tortura e la morte.

Il principale obiettivo del pellegrinaggio era quello di mettere e conservare in memoria quel tragico e drammatico passato come vaccino efficace contro possibili ricadute future. Ebbene, durante il viaggio di ritorno, siamo stati invitati a condividere le impressioni sul viaggio. Sono intervenuto ricordando il pericolo della crescente xenofobie e, richiamando la mia esperienza e vita missionaria, ho concluso dicendo che, nello scenario mondiale, l’Africa è da considerare oggi come un gigantesco campo di sterminio. Invece di suscitare reazioni di consenso o dissenso, ho raccolto il silenzio che poteva significare (a seconda delle latitudini e culture) consenso, dissenso o indifferenza. Sarebbe grave se fosse l’indifferenza: quella che non vuol riconoscere le responsabilità delle potenze occidentali interessate solo all’Africa “utile” e ridotta a serbatoio di materie prime e di nuovi mercati da conquistare, schiava di logiche economiche ingiuste, consegnata e condannata alla fame anche da una cinica politica di biocombustibili. Allora, vorrebbe dire che si può visitare e vedere Mauthausen e continuare a restare chiusi in un egoismo incapace di “vedere”, sentire e com-patire lo straniero e, soprattutto, l’immane tragedia dell’Africa. Sarebbe la conferma che è tutt’altro che facile e scontato imparare la lezione dalla storia maestra di vita. Vorrebbe dire che non possiamo dare per acquisito una volta per tutte il principio-valore che il diritto alla vita, a partire dall’alimentazione, è un diritto primario per ogni persona, e che la solidarietà verso le persone e i popoli più deboli è un dovere. In questo senso Benedetto XVI ha pronunciato parole forti : “Se non dai da mangiare a colui che è moribondo di fame, lo avrai ucciso”. Insomma, rimane drammaticamente aperto l’inquietante interrogativo di E.Wiesel, a conclusione del suo intervento all’ONU il 24 gennaio 2005: “Il mondo imparerà mai?”.
Padre Onorio Matti
Note:

1. Padre Onorio Matti, Una sola famiglia, numero 105, giugno 2008, pagg. 3-5.

 

BOX

Berlino 1932

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

E fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli Ebrei
E stetti zitto perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prender gli omosessuali,
e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Martin Niemoller

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