Inaugurazione corso formatori Corpi Civili di Pace: l’intervento di Diego Cipriani

Caritas Italiana
“Questa storia viene oggi consegnata agli Enti che realizzano i progetti dei CCP e, in particolare, ai formatori. Che hanno dunque un compito importante e una grande responsabilità”. L’intervento di Diego Cipriani durante la giornata inaugurale del corso per formatori dei Corpi Civili di Pace, svoltasi a Roma presso la biblioteca della Camera dei Deputati, lo scorso martedì 4 aprile 2017

Io penso che queste forme di utopia, di sogno, dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? (…) Vedete, noi siamo qui probabilmente allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva, della difesa popolare nonviolenta; siamo allineati, però vedete quanta fatica si fa in Italia a far capire che la soluzione dei conflitti non avverrà mai con la guerra, ma avverrà con il dialogo, col trattato. (…) Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà. Queste idee un giorno fioriranno, non sono affidate soltanto a due o tre folli che vanno dicendo parole fuori posto. Ormai, lo sapete, la difesa popolare nonviolenta, la nonviolenza attiva è diventato un trattato scientifico. Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati!

L’inaugurazione, oggi, del primo corso di formazione dei formatori degli Enti che partecipano alla sperimentazione dei Corpi Civili di Pace è un piccolo tassello alla realizzazione di quel sogno di don Tonino Bello (che fu anche di Alex Langer) cui fanno riferimento le parole pronunciate nel teatro di Sarajevo il 12 dicembre 1992 in piena guerra.

Certo, con tutte le differenze e i distinguo del caso. Quella dei 500 a Sarajevo era un’iniziativa “privata”, promossa da alcune associazioni, mentre quella di oggi è un’iniziativa istituzionale; quella si compì senza il coinvolgimento delle nostre autorità diplomatiche, mentre quella odierna è avvalorata dal nostro ministero degli Esteri. Qualcuno potrebbe addirittura intravvedere una palese contraddizione tra un’iniziativa (l’intervento sul campo, di civili) tipica della società civile e delle organizzazioni cosiddette “non governative” e quella dei governi e delle loro cancellerie.

Ma l’idea di fondo è la medesima. Quella della nonviolenza in azione, che si fa progetto e lo realizza.

È una lunga storia italiana quella che ci ha portato oggi qui.
Che potremmo far iniziare con gli obiettori di coscienza al servizio militare che proprio durante gli anni della guerra nella ex-Jugoslavia con l’”Operazione Colomba” oltrepassavano i confini italiani (contro legge, pagandone le conseguenze sul piano giudiziario) per portare aiuto alle popolazioni civili vittime, esprimendo loro solidarietà e vicinanza.

Una storia che continuò nella primavera 1998, durante l’approvazione in parlamento della legge di riforma della 772/72 in materia di obiezione di coscienza. Ben quattro ordini del giorno furono approvati, tra gli altri, per impegnare il governo a costituire in Italia un contingente di Caschi Bianchi da mettere a disposizione dell’Onu e dell’UE per l’impiego in aree di crisi da attivare in tempi rapidi con Ong e associazioni di volontariato per la pace, la solidarietà e i diritti umani. E per proporre in sede UE la creazione di un Corpo civile europeo di pace da utilizzare in ambito Onu per la prevenzione di conflitti armati.

Poi venne, tra la fine degli anni ’90 e il 2000, la costituzione della “Rete Caschi Bianchi”, promossa oggi dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dalla Focsiv e dalla Caritas Italiana e che ha permesso a 5.000 giovani (obiettori e volontari in servizio civile) di fare un’esperienza all’estero.
A riprova del fatto che prima che le istituzioni si muovano (ovvero: quando le istituzioni non si muovono) la società civile, e gli enti di servizio civile in essa, si auto-organizza.

Altra tappa quella dell’aprile 2004, con la costituzione del “Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta” che, a differenza della Consulta nazionale per il servizio civile, non sopravviverà alla scure che si abbatte ad agosto 2012 in nome della spending review predicata dal Governo Monti, ma che riesce, tra le altre cose, ad elaborare delle indicazioni per la progettazione sperimentale di servizio civile all’estero nell’ambito della difesa alternativa.

Infine, l’avvio, nell’ottobre 2011, del progetto sperimentale di servizio civile “Caschi Bianchi oltre le vendette, in Albania” realizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, dalla Focsiv e dalla Caritas Italiana, che ne hanno anche condotto il monitoraggio, curato una ricerca e la sua relativa pubblicazione (con l’ausilio del Centro per i Diritti Umani dell’Università di Padova che oggi gestisce questa importante attività formativa) e che può costituire un utile “precedente” per la sperimentazione dei CCP.

Questa storia viene oggi consegnata agli Enti che realizzano i progetti dei CCP e, in particolare, ai formatori. Che hanno dunque un compito importante e una grande responsabilità, quella di comporre la schiera dei “quadri” di questa sperimentazione, unica nel suo genere. Faticosa, ma bella è l’esperienza che stiamo facendo insieme, tra Enti diversi, per portare avanti questa sperimentazione: abbiamo iniziato con la fase di co-progettazione, l’abbiamo continuata con la fase di selezione dei candidati, oggi la inauguriamo con la formazione dei formatori, cui seguirà la fase di formazione dei volontari che realizzeremo insieme, anche grazie alla disponibilità dimostrata dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.

Ma non finisce qui. Siamo solo agli inizi. Non dimentichiamo, infatti, che la sperimentazione parla di 500 volontari da impiegare in un triennio (che, ahimé, si è già dilungato fino a divenire un quinquennio). Se nei prossimi mesi partiranno i primi 102 volontari che hanno partecipato al bando del 30 dicembre, quando partiranno gli altri 398?
Occorrerà pertanto accelerare i tempi e fare in modo, ad esempio, che già nei prossimi mesi gli enti possano presentare nuovi progetti. Speriamo sulla base di una nuova lista di paesi nei quali poter progettare e che, nella prima edizione, è risultata così “strana” e così stretta da disincentivare la progettualità da parte degli Enti (tanto che non si è riusciti a coprire se non la metà dei 200 posti disponibili). Per far questo, però, occorrerà certamente ripensare al tema della sicurezza che, mi pare, ha finora concentrato le attenzioni dell’Amministrazione e degli Enti, paralizzando di fatto le potenzialità che questa sperimentazione deve invece poter esplorare. A nome di quegli enti che, non dimentichiamolo, in questi quindici anni hanno permesso a migliaia di giovani di fare un’esperienza positiva in tutti i continenti, dichiaro qui la piena disponibilità a ragionare insieme per far sì che questa sperimentazione ottenga i migliori risultati.

Buon lavoro a tutti i formatori e ai loro docenti!

Diego Cipriani

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