Corpi Civili di Pace Ecuador

Tempo indigeno – Il tempo di tutti noi

Secondo fonti diverse, le popolazioni indigene rappresentano oggi una percentuale che va dal 4 al 5% della popolazione mondiale e sono diffuse in tutto il pianeta. Da sempre, i diritti dei popoli indigeni sono stati violati per sfruttare le risorse naturali che si trovano nei territori da essi occupati.

Scritto da Marco Ciot, Corpo Civile di Pace con FOCSIV

L’economia mondiale ha sempre avuto bisogno di ciò che per gli indigeni è di fondamentale importanza identitaria: la terra, per sfruttare tutto ciò che sta sopra o sotto di essa. Piantagioni, legname, allevamento e risorse non rinnovabili. Questo non è solo il passato, ma soprattutto il presente.
Gli abusi e le violazioni che prima avvenivano alla luce del sole nell’impunità totale, oggi sono forse meno evidenti, ma continuano senza sosta. Non possiamo permetterci di fermarci, il tempo corre e non ce n’è mai abbastanza. Le automobili devono viaggiare, gli scaffali dei supermercati devono essere pieni 365 giorni all’anno, le case devono essere calde o estremamente fresche. Affinché tutto questo possa avvenire sono indispensabili carbone, petrolio, gas naturale, terra e acqua in quantità inimmaginabili. A causa di questa ingordigia energetica, le popolazioni indigene sono tutt’oggi a rischio. Con esse è a rischio un patrimonio culturale e naturale inestimabile. Da sempre in armonia con la natura che abitano, i popoli indigeni sono anche i suoi protettori. La regione amazzonica, il polmone della terra, è fra le aree in pericolo. Con i suoi milioni di ettari coperti dalla vegetazione, risulta fondamentale per l’assorbimento della CO2 emessa dalle attività dell’uomo. I diversi ecosistemi, la loro integrità e biodiversità sono indispensabili per la salute del pianeta, ma stanno soffrendo lo stile di vita delle società economicamente più sviluppate.
Certe forze non possono essere fermate. La nostra fame di energia è una di queste, con tutte le conseguenze che porta.
Le società moderne hanno perso il contatto con ciò che è la natura e i suoi ritmi.
Contatto che le popolazioni indigene mantengono tutt’ora, seppur con evidenti differenze causate dal maggiore o minore rapporto instaurato con l’occidente. Esempio di questo intrinseco e viscerale contatto con il mondo naturale, è il rituale dello Yagé. Si tratta di un decotto, composto di piante amazzoniche, capaci di liberare nell’organismo di chi lo assume il DMT – Dimetiltriptammina: elemento psichedelico presente anche nel fluido cerebrospinale degli esseri umani che entra in circolo durante il sonno. Cotte insieme, le diverse piante vengono bevute alla presenza dello sciamano. Lo sciamano è colui che ha la capacità di connettere il nostro mondo con quello spirituale. Questa capacità si tramanda generalmente di padre in figlio e necessita di anni di pratica e studio intensi. Il sapore dello Yagé è terribile, la consistenza variabile: dal liquido al cremoso. Durante il rituale uomini e donne restano separati. Il tutto avviene rigorosamente di notte, quando gli spiriti della natura e dei morti sono più attivi. Lo Yagé viene assunto da tempo immemore dalle comunità indigene amazzoniche. Con questo rituale lo sciamano cura, apprende, risolve conflitti. Il tempo viene dilatato e lo spazio scompare. Lo sciamano guida il rituale, aiuta chi soffre cantando nella lingua della natura, incomprensibile quanto potente. Non esiste separazione fra corpo e mente, fra passato e futuro, fra vita e morte, fra l’io e gli altri. Tutto è uno, ed è a disposizione per coloro che sanno accoglierlo.

In Ecuador negli anni ‘60 del secolo scorso iniziarono le esplorazioni e l’estrazione petrolifera nella regione Amazzonica, precisamente delle province di Orellana e Sucumbíos al confine con Colombia e Perù. Operazioni messe in atto senza la minima misura di sicurezza per l’ambiente naturale e per chi lo abitava da sempre. Tutt’oggi le conseguenze di queste azioni si ripercuotono nella quotidianità di chi è costretto a vivere a pochi metri dai pozzi petroliferi o vive vicino ai fiumi e alla terra tutt’ora inquinati.
Lontano da noi, ma estremamente vicino allo stesso tempo, se pensiamo che del gas non possiamo fare a meno. Oggi, molti camion che trasportano gas naturale attraverso Quito hanno in bella vista le scritte ENI e Agip, fra le altre. Li vedo spesso recandomi al lavoro nell’ufficio della UDAPT – Unión de Afectados por Texaco, di Quito. Dentro quei camion c’è gas naturale rimasto sepolto per migliaia di anni. Anni nei quali gli sciamani già sapevano, già impartivano conoscenza, già si prendevano cura della natura che li ospitava, in pace.

La modernità ci ha portato molto lontano da questa consapevolezza. Tanto che stiamo già facendo i conti con una realtà pericolosa: gli effetti del cambiamento climatico e dell’inquinamento sono già visibili in alcune regioni del pianeta, e non faranno che peggiorare se qualcosa non cambierà. Fra i primi settori economici ad essere colpiti dal cambiamento climatico trova posto l’agricoltura. Eventi atmosferici estremi, siccità ed alluvioni mettono a repentaglio le produzioni agricole. Serviranno nuove terre da sfruttare ed inquinare, incuranti dell’ecosistema e della sua biodiversità, alimentando il circolo vizioso senza fine finché non ci saranno più terre disponibili.
Un ritorno al passato è impossibile e nemmeno auspicabile, ma cambiamenti nella vita quotidiana di ciascuno di noi, sì. A questo scopo, diffondere il più possibile la conoscenza su ciò che succede vicino e lontano dalla nostra realtà è fondamentale perché si instilli in chi legge, il germe del dubbio o, ancora meglio, la curiosità di saperne di più e la voglia di trovare delle strade per portare il proprio contributo.

Dobbiamo riprenderci il futuro, che è nostro. Il passato non si può cambiare, ma il futuro è nelle nostre mani. Non possiamo permetterci di abbandonare l’ecosistema globale a sé stesso, dobbiamo prendercene cura al meglio. Per farlo, dobbiamo proteggere chi lo protegge: è una responsabilità di tutti noi. E possiamo farlo già oggi, sostenendo chi si impegna in questa battaglia. La nostra esistenza è connessa con quella di tutti gli esseri viventi, ogni nostra azione, anche la più banale, ha conseguenze sia vicine che lontane nello spazio e nel tempo.
Quando l’ultimo sciamano morirà, non ci sarà più nessun protettore della foresta, nessun guerriero per la natura. Resterà solo un deserto naturale ed umano.
A quel punto, il mondo come lo conosciamo sarà definitivamente perduto e il tempo non avrà più alcun valore. Non possiamo permetterlo.

Chiudo questo articolo con le potenti parole espresse da un amico Tuareg:
“Voi siete schiavi del tempo, noi ne siamo i padroni

Impadroniamoci del nostro tempo. Del nostro futuro.

Il sito dell’organizzazione per la quale collaboro come Corpo Civile di Pace: www.texacotoxico.net

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