• Cb Apg23, 2008

Caschi Bianchi Cile

Dignità fatta a mano

Gli oggetti prodotti dai prigionieri della dittatura o dalle mogli e madri dei desaparecidos, parlano della storia di un paese, della forza delle sue lotte, e della sua disperazione. Intervista alla Direttrice Esecutiva della Fundación Solidaridad, l’organizzazione che ha risposto all’istanza di comunicazione e di libertà con una significativa esperienza di economia solidale.

Scritto da Chiara Greco

Winnie Lira Letelier é una signora dai gesti estremamente delicati, lo si vede da come ci accoglie nel suo ufficio accanto al patio, nella sede centrale della Fundación Solidaridad(1), a Santiago del Cile.

Come è nata la Fundación Solidaridad?

La nostra storia è iniziata pochi mesi dopo il golpe militare dell’11 settembre 1973. Molti di noi, funzionari pubblici sotto il governo di Salvador Allende, avevano perso il lavoro a causa della “pulizia” degli apparati statali immediatamente realizzata da Pinochet.
Preoccupati per le condizioni di vita dei detenuti politici, ci siamo inizialmente organizzati nel Comitè de Cooperación para la Paz.
La nostra missione principale, che abbiamo potuto realizzare grazie alla collaborazione con la Croce Rossa e all’aiuto del cardinale Raul Silva, era di entrare nelle carceri e nei campi di detenuti per portare un sostegno ai prigionieri, monitorare le loro condizioni di salute psico-fisica e organizzare la loro difesa giuridica.

Il regime non ha tentato di ostacolare la vostra attività?

Certamente. Quando Pinochet scoprì la nostra organizzazione, nel 1975, fece in modo di smantellarla in meno di 24 ore. Tuttavia, grazie al sostegno del cardinal Silva, abbiamo potuto installarci nella sede dell’Arcivescovado e proseguire con le nostre visite nelle carceri.
Ben presto i prigionieri ci hanno fatto capire che il nostro sostegno era vitale, ma non bastava. Avevano bisogno di poter fare qualcosa per non sentirsi annichilire lentamente dalle condizioni di vita del carcere:
“Ayúdennos a poder trabajar, el tiempo parece interminabile, queremos hacer algo con nuestras manos”(2), ci dissero.
Mentre noi del Comitè ci interrogavamo su cosa si sarebbe potuto produrre in un carcere e su come introdurre gli strumenti necessari, già durante la visita della settimana successiva, un detenuto ci mostrò una piccola colomba che aveva intagliato in un osso di pollo trovato nella minestra, che aveva ripulito grattandolo sul muro della cella. Altri detenuti avevano realizzato delle collanine con filo e molliche di pane che avevano fatto seccare e colorato con dei pastelli.

Ripensandoci migliaia di volte negli anni successivi, ci siamo resi conto di come la necessità e il desiderio di poter guardare avanti acutizzassero l’immaginazione, l’ingegno e la creatività e, prima ancora che il Comitè trovasse delle risposte, le persone costrette nelle carceri le avevano già fornite con la creazione dei primi oggetti d’artigianato.

Dove venivano venduti i prodotti delle carceri cilene e com’è proseguita la vostra esperienza?

Li vendevamo ovunque vi fosse solidarietà per la situazione di privazione di libertà e di povertà dilagante, in Cile e all’estero. Sei anni dopo vennero chiusi i campi di prigionia, cosicché proseguimmo il lavoro nelle carceri e cominciammo a lavorare con gli abitanti dei sobborghi più marginali della capitale poiché, con le riforme economiche introdotte dal regime, la povertà per i ceti più bassi era aumentata drasticamente, al punto che in molte di queste poblaciones(3) la popolazione cercò di organizzare delle mense autogestite per fornire almeno un pasto al giorno ai bambini.

Durante questo periodo di maggior crisi economica il Comitè, che ora era divenuto Vicaria de la Solidaridad(4), cercò di affiancare la produzione di artesanias anche fuori dalle carceri. Proprio nelle poblaciones alla periferia di Santiago, gruppi di donne realizzavano le cosiddette arpilleras: composizioni che ritraevano scene di vita quotidiana (bimbi intorno a una mensa, gruppi di donne vestite di nero che tessono), realizzate con avanzi di stoffe, fili e resti di gomitoli di lana, il tutto cucito su sacchi di farina non più utilizzati.
Le arpilleras cominciarono ad essere molto conosciute e vendute soprattutto all’estero, come oggetti simbolo della lotta quotidiana per l’esistenza, nel Cile di quel tempo.

Con il passare degli anni, si crearono centinaia di piccoli laboratori artigianali, formati da uomini e donne che inventarono da soli la propria fonte di lavoro. In diciassette anni, come Vicaria de la Solidaridad, accompagnammo tutte queste produzioni studiando, con le persone coinvolte, come e cosa produrre e organizzammo la distribuzione di queste artesanias dentro e fuori dal Cile, in modo da garantire delle entrate agli artigiani.

Quali cambiamenti si sono verificati con l’arrivo della democrazia?

Innanzitutto la Vicaria de la Solidaridad ha chiuso i battenti, poiché da quel momento avrebbe dovuto essere lo Stato a farsi carico della situazione di povertà e di violazioni dei diritti umani subite dei propri cittadini. Il nostro gruppo, ad ogni modo, proseguì nello stesso lavoro e ci costituimmo come Fundación Solidaridad.
Tutt’oggi appoggiamo 590 piccoli produttori che autogestiscono le proprie produzioni, rappresentando un’eccezione alle produzioni massificate e impersonali, poiché creano essi stessi i propri disegni, scelgono le materie prime, elaborano, gestiscono e commercializzano le loro creazioni; il tutto in un’ottica che mette al centro non il profitto, ma il lavoro come affermazione della propria dignità.

Attualmente coordiniamo una rete solidale formata da sette Coordinatrici di laboratori d’artigianato, in cui lavorano 240 donne residenti in cinque delle Comunas più povere della capitale e altre due nelle regioni circostanti. Ad ogni piccolo gruppo di produttrici offriamo corsi sull’intero processo di produzione e vendita del prodotto: come scegliere materie prime di qualità, come fissare il prezzo, come tenere la contabilità e controllare costantemente la qualità del prodotto.

Dove vendete i vostri prodotti e come finanziate le vostre attività?

Il 70% delle vendite avviene in Cile, il che ci libera dalla dipendenza con l’estero e quindi anche dalle fluttuazioni del mercato monetario. Inoltre, specialmente negli ultimi anni, il Cile, suo malgrado, si è guadagnato all’estero la fama di paese oramai “sviluppato” e quindi non più bisognoso di certa cooperazione, almeno non tanto quanto molti altri paesi latinoamericani o africani.
In realtà, nonostante le medie formulate dagli economisti non lo diano a vedere, siamo dopo il Brasile, il paese dell’America del Sud con la peggiore distribuzione della ricchezza.
Le nostre entrate dipendono dalla presentazione di progetti presso istituzioni nazionali e alcune organizzazioni internazionali (come la Cooperazione Tecnica Belga). Di queste, una parte consistente è dovuta al fatto che abbiamo vinto un appalto pubblico del Ministero dell’Istruzione cileno, per la produzione di giochi e materiale didattico. In questa gara abbiamo concorso contro grosse multinazionali come la Disney e, quello che ci ha permesso di vincerla, è stata proprio la scelta di proporre giocattoli e libri che mantenessero un forte legame con la nostra storia e con la nostra cultura; come giocattoli, per esempio, abbiamo presentato delle bamboline mapuche dotate di sesso, perché è così che siamo fatti!

Tra i vostri contatti esteri rientra anche l’Italia?

Certo! A livello commerciale collaboriamo con CTM Altromercato.
Personalmente ho bellissimi ricordi legati a un viaggio che ho fatto in Italia, ospite dell’ONG Overseas di Spilamberto. Ho potuto partecipare al Forum delle Donne tenutosi a Bologna(5) e, soprattutto, ricordo di quando mi hanno accompagnata in un paesello lì vicino – di cui ora non ricordo il nome – dove sono stata accolta da una delegazione di anziani partigiani che mi hanno regalato un targa, che tengo sempre qui con me in ufficio.

…Winnie ci mostra la targa e vi leggiamo:
“A Winnie Lira Letelier , donna della Resistenza Cilena”.
Sono infinite le relazioni umane intessute in questa esperienza ed infinite sono le sensazioni evocate ed evocabili dagli oggetti che ci circondano nella Bottega della Fundación Solidaridad: ci parlano della storia di questo paese, della forza di certe lotte, della disperazione che si cela dietro certi manufatti.
E tra i fili delle arpilleras, che sono arrivati chissà dove nei vari angoli del pianeta, urlando la mancanza di libertà sofferta da questo popolo, sono passate carezze straniere che hanno cercato di dimostrare così la propria solidarietà e dare il loro piccolo contribuito. Mai degli oggetti hanno potuto trasmetterci tanto e in modo così forte.
Da qui ritroviamo il senso originario di una realtà come quella del commercio equo, che mantengono la loro purezza originaria perchè non cancellano il ricordo di come tutto è iniziato.
L’errore più grande che possiamo fare, come “acquirenti”, è di lasciare che solo un poco di quella storia e di quella forza originaria si perda, nel lungo tragitto verso le nostre botteghe e le nostre case.

Note:

1. Sito internet della Fundación: http://www.fundacionsolidaridad.cl
2. “Aiutateci a lavorare, il tempo sembra interminabile, vogliamo fare qualcosa con le nostre mani”.
3. I sobborghi più poveri
4. La Vicaria de la Solidaridad è un’organizzazione fondata dal cardinale Raul Silva insieme ai membri del Comité de Cooperación para la Paz, finalizzata a garantire assistenza legale e sociale alle vittime delle gravissime violazioni dei diritti umani durante il regime militare.
5. Alla pagina web http://www.overseas-onlus.org/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=101 è possibile leggere una parte dell’intervento tenuto da Winnie Lira al Forum delle Donne (Bologna, 4 ottobre 1997)

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